ABSTRACT
Nell’articolo, particolarmente dedicato agli operatori del settore (psicoterapeuti, psichiatri, ecc.), si propone una riflessione sulle tossicomanie soprattutto da cocaina che si sviluppano in organizzazioni borderline di personalità caratterizzate da una prevalenza relativa di un disturbo narcisistico. Sulla base di queste riflessioni viene raccontato un caso particolarmente significativo che è stato seguito in una sede specialistica per Doppie Diagnosi Saman. Le varie fasi del ciclo terapeutico vengono descritte con una particolare attenzione ad elementi sistemici e controtransferali che aprono la strada ad ulteriori riflessioni sul tema.
ABSTRACT
This paper, particulary directed to sector operators (psychoterapysts, Psychiatrysts, ect.), promots a reflection on drug-addictions, in particular cocaine addiction developed in a Borderline Personality Organization caraterized most about narcisistic operating. On the base of this reflection this paper tells the story of a patient cured in a Saman specialistic residencial centre. This paper describs different parts of treatment with great care on sistemic and controtransferal aspects; that promots other reflections on this theme.
A PROPOSITO DI TOSSICOMANIE DA COCAINA:
STUDIO CLINICO DI UN GRAVE DISTURBO NARCISISTICO DI PERSONALITA’
Il Comune di Roma e l’Agenzia Comunale per le Tossicodipendenze (1) descrivono un dato interessante relativo ai detenuti tossicodipendenti presso il Carcere di Regina Coeli in Roma. Perucci sostiene che in questa popolazione di utenza un numero pari al 42% ha come sostanza primaria d’abuso l’eroina, il 24% altre sostanze ed il restante 34% dichiara di avere come sostanza primaria d’abuso la cocaina. Il Prefetto Soggiu (2) ha dichiarato durante la Giornata Mondiale contro l’uso ed il traffico di sostanze stupefacenti che nell’ultimo anno c’è stato un aumento del 267% dei sequestri di cocaina. In una ricerca svolta da Laura Antonelli prendendo in considerazione il totale degli utenti transitati in tutte le strutture Saman presenti sul territorio nazionale nel corso dell’anno 2002 (un campione di 200 utenti), risulta un numero di utenti che presentano la cocaina come sostanza primaria d’abuso pari al 21 % rispetto al totale. Tale dato è identico al numero di utenti che invece riferiscono come sostanza primaria d’abuso l’eroina, anche questi pari al 21%. Questi risultati confermano l’andamento generale delle caratteristiche delle tossicomanie. C’è, in altre parole, rispetto al passato, un aumento importante delle tossicomanie da cocaina. Questa è un’utenza che presenta, in una percentuale alta di casi, caratteristiche diverse da quelle degli eroinomani e che, perciò, necessita anche di un approccio alla cura specifico e differente.
Le tossicomanie “pure” da cocaina si manifestano abbastanza spesso in persone che presentano:
1 – un livello di integrazione sociale buono, al contrario degli eroinomani che in genere provengono da classi sociali svantaggiate e presentano un basso livello di istruzione ed un rispettivo scarsissimo contatto con il mondo del lavoro; il buon livello di integrazione sociale dei cocainomani viene mantenuto normalmente fino ad una crisi che si manifesta abitualmente insieme ad una difficoltà di ordine economico (i soldi sono finiti, l’impresa fallisce, la famiglia o gli amici si rendono conto della gravità della situazione e bloccano i finanziamenti) o giudiziario, per ragioni estranee, comunque, alla volontà della persona;
2 – una prevalenza di tratti narcisistici e/o psicopatici, abbastanza rare nelle organizzazioni di personalità dei tossicodipendenti da eroina (3) (4) (5);
3 – una storia di dipendenza come ricerca del piacere piuttosto che un uso delle sostanze come autocura rispetto alle difficoltà, come spesso capita negli eroinomani: un modo di utilizzare le sostanze, cioè, che fa da specchio al funzionamento della personalità tipico dei narcisisti perché poche droghe come la cocaina sono in grado di alimentare la grandiosità del sé, rinforzando, nello stesso tempo, le difese tipiche di queste personalità, quali il diniego e la svalutazione (6).
Queste importanti nuove caratteristiche dei tossicomani da cocaina si presentano in netto contrasto con lo stereotipo del tossicomane vissuto e sentito come una persona fortemente disagiata, che chiede soldi per strada o tenta di procurarseli sulle strade tipiche della piccola criminalità. I tossicomani da cocaina appartengono spesso a famiglie importanti, agiate, sono ben vestiti, ben integrati nella rete lavorativa e sociale. Se delinquono, lo fanno in grande, occupandosi di spaccio o di affari. Hanno per tutti questi aspetti maggiore difficoltà ad accettare di aver bisogno d’aiuto. Fino alla crisi che, almeno, può aprire la strada all’incontro tra il cocainomane e gli agenti di cura. Tali crisi sono dovute in genere nella vita dei cocainomani a cause economiche e poco spesso invece a difficoltà interpersonali. Una crisi si inserisce, inaspettata, nella vita di queste persone, come qualcosa che turba profondamente l’equilibrio precedente e che spesso le costringe ad una richiesta d’aiuto. Tale incontro coatto può essere un momento molto importante: un’occasione per queste persone di potersi fermare a ragionare, costruire una relazione terapeutica e prendersi uno spazio di riflessione su di sé.
Sostiene Kernberg (6) in Mondo Interno e Realtà Esterna che la presenza di eventi traumatici ed impattanti nella vita di un narcisista sia un elemento di prognosi favorevole rispetto all’efficacia di un trattamento terapeutico. Del resto, anche la società si trova in maggiore difficoltà rispetto al considerarli persone che hanno bisogno d’aiuto. Tutto ciò è in linea con le risonanze su di sé e sugli altri che alcune difese tipicamente narcisistiche provocano. Questi personaggi sono in grado di mentire, di affascinare e di convincere. Questo però non toglie che siano persone che hanno bisogno d’aiuto e di un aiuto ben mirato e specifico su tali aspetti e caratteristiche di personalità.
Queste riflessioni pongono un problema importante sull’organizzazione della risposta terapeutica che viene ad avere come scopo non tanto la restituzione o la costruzione di competenze sociali perse o mai avute, quanto piuttosto il tentativo di orientare l’uso di risorse che la persona già possiede al fine di aiutarla a ritrovare un suo equilibrio più funzionale.
In quest’ambito, il lavoro che si svolge nelle sedi residenziali Saman su aspetti sia educativi che terapeutici, può essere una buona risposta se adattata alle esigenze di questa tipologia di utenza, per esempio con la flessibilità di programmi concordati e presentati ora, non come risposta terapeutica valida per tutti i casi, ma come una fase, modulabile sulle esigenze particolari dell’utente, di un percorso più ampio e protratto nel tempo.
IL CASO DI ANDREA
Abbiamo ritenuto utile presentare un caso clinico di forte impatto piuttosto che ricerche con casistiche, tra l’altro al momento scarse poiché risulta ancora basso il livello d’attenzione, tra chi si occupa di tossicodipendenze, verso le problematiche psicologiche annesse al problema “droga”.
Il caso che è stato scelto come esemplare per affrontare il tema delle tossicomanie da cocaina è quello di Andrea. Dalla lettura appariranno evidenti le modalità specifiche presentate in comunità da questa persona. Per esempio le differenze tra come essa si pone nei confronti del lavoro in comunità rispetto al resto degli utenti. Inoltre, le forti differenze riguardano anche le risonanze che casi di questo tipo pongono nell’équipe, rispetto agli eroinomani. Queste sono persone, infatti, che tendono ad affascinare gli altri ed anche chi si occupa di aiutarli. Su questo tema appare chiarificatrice l’affermazione della Benjamin (7) che, facendo riferimento agli studi di Freud, afferma: “i soggetti narcisistici sono spesso in effetti dotati di capacità degne di ammirazione. Freud (1914/1959) forniva una spiegazione del perché i narcisisti apparissero così affascinanti: <<Appare molto chiaro che il narcisismo di una persona esercita un certo fascino su quanti hanno rinunciato a parte del loro stesso narcisismo e che sono alla ricerca dell’oggetto d’amore; il fascino del bambino si basa in larga parte sul suo narcisismo, sulla sua autosufficienza e sulla sua inaccessibilità, proprio come il fascino di certi animali che sembrano non curarsi affatto di noi, come i gatti e i grandi predatori. E’ come se invidiassimo loro la capacità di serbare uno stato di beatitudine, un’inaccettabile posizione di libido, alla quale noi abbiamo da tempo rinunciato.>> (p.46).
Il caso di Andrea aiuterà a riflettere sulle caratteristiche particolari di questo tipo di utenza, sulle tipiche risonanze controtransferali che provoca e sulla risposta terapeutica che è utile fornire.
La presentazione del caso avrà la seguente struttura: contesto e motivo dell’invio, cenni di storia personale e familiare, svolgimento dei colloqui d’accoglienza (in regime ambulatoriale), svolgimento del percorso in comunità per l’utente e dei paralleli incontri con i familiari, utilizzo del contesto di supervisione ed ulteriori sviluppi.
I dati dell’utente ovviamente sono ridotti al minimo per consentire il mantenimento dell’anonimato.
L’INVIO
Andrea viene inviato da un Ser.T. ad un Centro di Accoglienza Saman nel luglio 2001 come utente portatore di doppia patologia. La psicologa del servizio, chiedendo l’inserimento dell’utente in comunità, segnala un abuso di sostanze, un disturbo alimentare ed il forte invischiamento dell’utente con la famiglia d’origine.
CENNI DI STORIA PERSONALE E FAMILIARE
Andrea proviene da un contesto familiare così composto: il padre, proprietario di un’impresa di ristorazione; la madre che cogestisce con il marito l’azienda; il fratello maggiore che vive da 4 anni per conto suo, è sposato ed ha una bambina; Andrea, secondogenito, 32 anni; la moglie 30 anni, straniera; il figlio di Andrea (di 2 anni). Tutti i componenti della famiglia d’origine lavorano nell’azienda fondata dal padre. Quest’ultimo dopo aver acquisito diversa esperienza, decide di mettersi in proprio con l’appoggio della moglie che abbandona la sua attività per lavorare con il marito cogestendo l’azienda. Anche i due figli, Andrea e fratello, decidono di lavorare nell’azienda di famiglia interrompendo volontariamente gli studi universitari il cui ambito era comunque legato alla ditta.
Andrea viene descritto dai genitori come una persona fragile, secondo loro perché da bambino era frequentemente malato e ciò ha comportato un atteggiamento, da parte dei genitori, fortemente protettivo atteggiamento tutt’ora presente.
Dopo la fine del militare, che grazie al padre riuscì a fare vicino casa, Andrea comincia ad esprimere le prime paure di ingrassare; poco dopo, comincia ad avere, a detta dei familiari, problemi alimentari provocandosi il vomito dopo i pasti, vomito che negli anni si è “automatizzato”. Il vomito negli anni è sempre stato presente, anche nei periodi in cui Andrea assumeva in modo massiccio sostanze; ciò ha preoccupato ed allarmato molto i familiari, al contrario di Andrea che ha spesso attribuito il fenomeno a problemi di digestione.
Andrea, prima che iniziasse l’uso di sostanze (fondamentalmente cocaina, a volte insieme ad alcool), viene descritto dai genitori e dalla moglie come una persona socievole, estroversa e scherzosa che riesce ad attirare l’attenzione degli altri, sicuro di sé, in grado di assumersi responsabilità sia a livello lavorativo che familiare, divenendo ”l’ombra del padre” sul posto di lavoro. Nell’azienda del padre Andrea, pur avendo iniziato a lavorare con mansioni da operaio, è arrivato a svolgere funzioni di responsabilità importanti.
Secondo il padre, l’abuso di sostanze da parte di Andrea può aver coinciso con la fine di una relazione a seguito della quale si è isolato rinchiudendosi in casa per un lungo periodo.
Andrea inizia ad assumere cocaina circa 5 anni fa sporadicamente nei week-end durante la frequentazione di locali riuscendo, inizialmente, a gestire economicamente la sostanza con lo stipendio ed i soldi dell’azienda (cui aveva libero accesso). In seguito, entra in giri di narcotraffico venendo a contatto con grosse organizzazioni malavitose.
La madre circa tre anni fa, insospettita dai comportamenti insoliti di Andrea, gli esprime le proprie preoccupazioni ed Andrea le confida di avere un problema con la cocaina. La madre ne parla con il marito il quale inizia a seguire di nascosto il figlio scoprendo il suo coinvolgimento nella malavita. Andrea sembra sia stato utilizzato nel traffico di sostanze stupefacenti perché essendo incensurato destava meno sospetto (a suo dire era lui a dettare le regole del gioco).
I genitori tentano di aiutare Andrea in diversi modi: lo conducono da uno psichiatra in una clinica privata dove inizia una psicoterapia nel 1999 e dove viene seguito anche farmacologicamente per gli aspetti depressivi avvertiti successivamente all’uso di cocaina. Andrea interrompe i colloqui con lo psichiatra e dopo poco ricade nell’uso di cocaina. Successivamente tenta una nuova psicoterapia individuale ed un gruppo con una psicologa privata che però interrompe dopo poco.
Nel novembre del 2000 Andrea viene arrestato con l’accusa di narcotraffico e rimane in carcere solo per un mese poiché gli vengono concessi gli arresti domiciliari presso un’altra clinica, in quanto le sue condizioni psicologiche risultano incompatibili con il regime carcerario. Infatti, aveva sviluppato attacchi di panico ed ansia causati dall’interruzione improvvisa dell’uso di grosse quantità di cocaina senza alcuna terapia sostitutiva. Rimane in clinica dove viene sottoposto ad una terapia farmacologica massiccia. Terminati gli arresti domiciliari, torna a casa con un provvedimento di obbligo di firma.
Andrea durante un viaggio all’estero, legato al traffico illecito di sostanze stupefacenti, conosce la moglie la quale rimane incinta e decide di accettare l’invito del compagno a trasferirsi in Italia ed andare a vivere a casa sua.
In quel periodo Andrea faceva già uso di cocaina pur riuscendo ancora a mantenere il controllo dell’assunzione. I genitori, già a conoscenza del problema del figlio, si dimostrano disponibili ad accogliere la donna credendo che per Andrea l’opportunità di diventare padre e marito possa rappresentare un buon motivo per migliorare la sua condizione.
Andrea in breve tempo si sposa e la moglie per un lungo periodo sembra non sapere del suo problema con le sostanze. Decidono di andare via da casa dei genitori per andare a vivere da soli in un loro appartamento: Andrea inizia allora ad aumentare l’uso di cocaina e di alcol e diventando spesso violento anche se mai fisicamente. Dopo poco la donna, spaventata, chiede aiuto ai genitori di Andrea che la ospitano ed ipotizza anche di tornare presso il suo paese d’origine con il bambino.
COLLOQUI D’ACCOGLIENZA
Nel primo incontro Andrea si presenta solo con la madre la quale ha preso contatti con il Ser.T. e con Saman in quanto è molto preoccupata che il figlio possa tornare in carcere. Andrea appare poco reattivo a causa dei farmaci e sembra “portato” dalla madre.
Al colloquio successivo, su convocazione degli operatori dell’Accoglienza, si presentano anche la moglie ed il padre di Andrea. In seguito vengono suddivisi i sottosistemi chiedendo un incontro separato con Andrea e la moglie, con genitori da soli e con Andrea da solo.
La moglie, in presenza dei suoceri, manifesta insofferenza nei loro riguardi: sembrano “schiacciare” Andrea e la moglie nelle possibilità di scelta e di decisione. Durante il periodo dei colloqui d’accoglienza, Andrea comincia a stare meglio diventando più reattivo: ricomincia a lavorare nell’azienda del padre svolgendo compiti che non richiedono un contatto con i clienti poiché ciò lo metterebbe in una condizione di disagio. Ogni tanto ha momenti di tristezza e di ansia che lo inducono a fermarsi con il lavoro, a mettersi a letto ed a chiudersi in casa.
Andrea in questo periodo decide di tornare a vivere con la moglie nella precedente abitazione, effettuando anche dei lavori di ristrutturazione nonostante il dissenso dei genitori che vogliono che il figlio vada in una nuova casa, in un altro quartiere con lo scopo di proteggerlo dalle vecchie “conoscenze”.
Dagli incontri è possibile verificare che i vari membri della famiglia sono fortemente legati tra loro con meccanismi di protezione, l’esterno viene percepito pericoloso e nocivo divenendo una realtà difficile con cui confrontarsi, tanto che nel caso di Andrea i tentativi di autonomia e di separazione dalla famiglia sembrano essersi bloccati in modo drammatico attraverso l’uso di sostanze.
Andrea entra in nella sede di Latina a metà novembre 2001 assumendo una terapia farmacologica.
Relativamente alla comunità, Andrea non riesce a rappresentarsi mentalmente il luogo, la vita comunitaria e gli eventuali problemi che potrebbe incontrare anche perché inconsapevole del proprio malessere e delle proprie difficoltà. Si ritiene utile, dunque, un primo periodo di osservazione presso la comunità al fine di consentire ad Andrea di adattarsi al nuovo contesto dandogli così il tempo per capire gli strumenti terapeutici della struttura.
Gradualmente chiede di essere aiutato a rinforzare il rapporto con la moglie e con il figlio ed a poter comprendere cosa lo ha indotto a far uso di sostanze. La struttura inizia a rappresentare inoltre uno spazio protetto in cui potersi prendere cura di sé acquisendo, attraverso spazi individuali, attraverso il confronto con gli altri e con le responsabilità, maggiore consapevolezza del proprio malessere.
IN COMUNITA’
Andrea, nonostante la profonda inconsapevolezza circa le proprie difficoltà ed il problema con la sostanza, si inserisce abbastanza bene ed appare spinto ad intraprendere un percorso comunitario dall’affetto che lo lega al figlio ed alla famiglia. Poco dopo l’ingresso la terapia farmacologia viene scalata fino alla totale sospensione.
Nelle attività comunitarie viene dapprima assegnato alla squadra della manutenzione; in un secondo momento viene assegnato alla lavanderia, poi nuovamente con il ruolo di caposquadra al gruppo di manutenzione. Partecipa alle meditazioni ed ai gruppi con coinvolgimento, anche se in gruppo ha ancora difficoltà a mettersi in discussione.
Dopo il primo mese d’inserimento, durante il quale Andrea non ha rapporti con i familiari, inizia con loro costanti contatti ed incontra regolarmente il figlio e la moglie in comunità. Si rende però necessario chiedere agli operatori dell’accoglienza di convocare i familiari ed effettuare dei colloqui per chiarire il contenuto di alcune loro lettere e telefonate profondamente angoscianti per Andrea e che rappresentano un forte richiamo verso l’esterno.
ASPETTI EDUCATIVI IN COMUNITA’
Andrea fa ingresso in comunità accompagnato dalla moglie, dal figlio e dalla cognata.
La prima sensazione che trasmette è di una persona molto sicura di sé e poco consapevole dei propri problemi. Durante il primo colloquio con gli operatori Andrea da poca importanza alla sua situazione legale e, più che preoccupazione, mostra insofferenza verso le misure limitative della libertà personale (carcerazione preventiva, sequestro del passaporto etc.) che gli sono state imposte. Esprime invece una reale preoccupazione di fronte all’eventualità di dover sospendere per un lungo periodo i rapporti con la moglie ed il figlio. Considerata l’età del bambino (2 anni e mezzo), gli viene concesso, in deroga al regolamento, di poterlo vedere in comunità ogni 15 giorni; si specifica comunque che tale eccezione viene concessa solo per il figlio.
Dopo un primo periodo di ambientamento Andrea inizia a proporre comportamenti che danno luogo a forti risonanze emotive in tutti, risultando a volte profondamente antipatico, a volte conquistando il proprio interlocutore:
– mette in atto una serie di triangolazioni sminuendo un operatore di fronte ad un altro cercando, al contempo, di farlo sentire come l’unico operatore veramente capace e competente;
– quando egli afferma di non avere bisogno della comunità e di rimanere al suo interno solo perché consigliato dall’avvocato, gli operatori hanno risonanze di impotenza e inutilità;
– offre regali ad operatori e utenti provocando talvolta fastidio in quanto tale modalità viene interpretata come un suo volersi porre al di sopra degli altri attraverso le sue risorse economiche.
Nei ruoli di responsabilità, pur mostrandosi un buon organizzatore ed un lavoratore capace e preciso, viene a lungo confrontato sul modo di relazionarsi con gli altri utenti; utilizza, infatti, modalità da manager d’impresa lamentandosi poi della scarsa risposta che riceve dai suoi compagni. Su questo aspetto si avvia un lavoro di confronto dal quale emerge come sia necessario, per Andrea, trovare sistemi di relazione maggiormente adeguati.
Un altro problema grosso con cui gli operatori si devono confrontare concerne i rapporti telefonici ed epistolari tra Andrea, la moglie e la famiglia. L’utente ha la tendenza ad esagerare i problemi che gli vengono riferiti dai familiari i quali, comunque, nelle lettere spesso trattano argomenti fortemente angoscianti che lo allarmano e lo richiamano all’esterno.
Andrea inizia a chiedere di poter uscire in permesso a pranzo con i familiari per poter parlare dell’azienda e controllare che tutto vada bene.
TERAPIA INDIVIDUALE IN COMUNITA’
In comunità su Andrea viene fatta una diagnosi sull’Asse II di disturbo narcisistico di personalità all’interno di un’organizzazione borderline di personalità come descritta da O. Kernberg (8). I meccanismi difensivi più usati la negazione e la scissione (rispetto ai reati dice di non essersi reso conto della gravità, ma si lamenta delle conseguenze).
I colloqui individuali, dopo una prima fase di conoscenza reciproca e di contrattazione sugli obiettivi terapeutici, si sono rivolti da una parte alla costruzione di un’alleanza terapeutica necessaria a portare avanti un lavoro con Andrea, dall’altra alla progressiva confrontazione su elementi di difficoltà personale. Andrea è comunque molto difeso, molto razionale. L’unico argomento rispetto al quale esprime aspetti emotivi e si ammorbidisce consentendosi una richiesta d’aiuto sono il rapporto con il figlio, con la moglie e con i genitori. Nella relazione terapeutica Andrea si apre solo dopo la prima mezz’ora di ciascun colloquio, e ciò gli viene riletto come una sua necessità di calibrare le distanze (si mette sul piedistallo per mettere distanza e non soffrire).
Il lavoro si concentra inizialmente sul suo meccanismo di sopravvalutazione con il quale perde il contatto con gli altri e si mette in pericolo.
COLLOQUI CON I FAMILIARI SUCCESSIVI ALL’INSERIMENTO IN COMUNITA’
Gli operatori dell’Accoglienza incontrano separatamente i genitori e la moglie di Andrea e dai colloqui emergono importanti informazioni. I genitori esprimono sorpresa e soddisfazione per il percorso effettuato in comunità dal figlio riferendo comunque la loro intenzione di lasciare presto ai figli la gestione dell’azienda. Andrea è sempre stato coinvolto nell’attività della famiglia tanto che, anche in comunità, manifesta con ansietà ed insistenza la necessità di essere informato sull’andamento del lavoro. Inoltre, sia i genitori che la moglie di Andrea sottolineano il malessere manifestato dal bambino dalla partenza in comunità del padre; il piccolo è diventato più irritabile ed irrequieto. La moglie ci confida di aver sollecitato spesso Andrea a tornare a vivere nella loro casa esprimendo il bisogno di poter vivere per proprio conto non sopportando più l’invadenza dei suoceri. La donna, da quando è in Italia, ha lavorato nell’azienda della famiglia del marito percependo uno stipendio e raggiungendo così una propria autonomia. Quindi, se da una parte viene portata l’esigenza di separare la loro vita da quella dei genitori, dall’altra questa sembra essere vincolata anche ad incastri economici importanti.
SUPERVISIONE INIZIALE
La supervisione viene chiesta dall’Accoglienza per capire come impostare il lavoro terapeutico con i familiari e viene svolta insieme all’équipe della comunità.
Le indicazioni in supervisione riguardano la terapia con la famiglia, la terapia individuale di Andrea, gli aspetti educativi in comunità. Queste le riflessioni emerse:
– Viene sottolineato come le persone che abusano di cocaina siano spesso portatrici di disturbi di personalità diversi da quelli degli eroinomani come in questo caso un disturbo narcisistico che implica un diverso trattamento del paziente e della sua famiglia.
– In questo tipo di famiglie è importante entrare nella cultura familiare anche relativamente alla loro realtà quotidiana e lavorativa affinché lo psicologo non sia vissuto come estraneo e non si contrappongano i due sistemi, poiché come sosteneva Minuchin (9) è importante mettere a proprio agio gli appartenenti ad un sistema familiare. Questo tipo di famiglie può mettere in moto la competizione tra agenti terapeutici per affermare il primato degli aspetti psicologici.
– Relativamente alla terapia con la famiglia viene così sottolineata l’importanza di avviare immediatamente un lavoro terapeutico con la moglie di Andrea che rappresenta un punto significativo per il processo di cambiamento dello stesso Andrea e perché possa arrivare ad una definizione di sé e dei suoi bisogni. Inoltre, la moglie rappresenta una risorsa importante perché egli possa realizzare una revisione critica dei propri aspetti patologici, come gli aspetti di sé grandiosi.
– Con i genitori si effettuerà un incontro aiutandoli a capire che non è utile proteggere Andrea, sottolineando loro l’importanza che emergano parti deboli e fragili del figlio, cosa che non sarà possibile fino a quando loro lo proteggeranno. E’ utile che i genitori lascino Andrea un po’ più da solo non prospettandogli che l’azienda è pronta ad accoglierlo: E’ importante che Andrea, attraverso il lavoro in comunità, possa entrare in crisi in quanto questo può essere utile a contattare la sua fragilità ed a lavorare su di sé. L’accoglienza rimarrà un punto di riferimento per le necessità dei genitori.
– L’obiettivo terapeutico con Andrea in comunità riguarda la possibilità di aiutarlo ad affrontare e superare questa fase del ciclo vitale attraverso un rapporto pieno con la moglie e con il figlio.
– La menzogna, che è un meccanismo che Andrea mette talvolta in atto, è normale nel disturbo narcisistico come disturbo del senso morale. In questo caso, confrontare le bugie ironicamente può essere una modalità utile, senza ingaggiare una discussione. Mentre normalmente la menzogna nasconde l’interesse per il rapporto con l’altro, nel narcisista risponde al vendere un’immagine di sé (per esempio il pranzo fuori con i genitori viene richiesto per parlare dell’azienda).
– Rispetto alla richiesta di Andrea di poter pranzare con i familiari, è importante che ne parli con l’équipe della comunità cercando di convincerli a fare un’eccezione poichè questo non è utile al suo percorso terapeutico ed al confronto con le proprie difficoltà.
– Rispetto ai colloqui psicologici di Andrea in comunità: è importante lavorare sulla relazione terapeutica e sulle emozioni che emergono da tale relazione. Andrea porta nei colloqui dapprima un aspetto di spavalderia e poi un aspetto di tenerezza come nel corteggiamento. Nella terapia individuale può essere utile descrivere la sua modalità di relazione ed il controtransfert e chiedere cosa succederà dopo (<<Ti mostri competente e tenero ed io ti trovo simpatico, qual’è la puntata successiva?>>), confrontandolo con ciò che è accaduto con la moglie. Andrea ha difficoltà a vedere le persone come portatrici di un bisogno. Può essere utile parlare di come si è comportato con la moglie con la quale ha mantenuto una distanza, non riconoscendo la necessità della compagna di averlo vicino.
– In comunità non è necessario che egli assuma una terapia farmacologica.
– Può essere inoltre utile realizzare un gruppo educativo sul narcotraffico evidenziando il problema etico del narcotrafficante: il commerciante specula sulle difficoltà altrui. Un gruppo di questo tipo può essere utile per agevolare la messa in discussione ed in crisi di Andrea attraverso un confronto attivo con il gruppo della comunità.
SVILUPPI TERAPEUTICI DOPO LA SUPERVISIONE
A seguito della supervisione l’Accoglienza incontra i genitori ed inizia a fare colloqui a cadenza quindicinale con la moglie (la quale si dimostra sempre più un punto di forza per Andrea).
In comunità i colloqui psicologici toccano aspetti importanti: la terapeuta propone ad Andrea di riflettere sulla sua modalità di porsi in relazione a lei, modalità simile alla fase di innamoramento avuta con la moglie (da una parte si mostra sicuro di sé, dall’altra tenero) inducendolo a riflettere sulle mosse successive. Con la moglie in seguito egli, totalmente incapace di essere empatico, ha ignorato i bisogni emotivi della compagna ponendosi in relazione solo con la parte competente e provvedendo quindi solo economicamente alla famiglia.
Egli si rende conto pian piano che questo è il modello imparato dalla sua famiglia (sentiva che venivano riconosciuti i bisogni materiali e non quelli emotivi). Inoltre, inizia a divenire consapevole che questa fuga è derivata anche dalla paura di divenire padre (ruolo in cui non poteva essere perfetto). Comincia a divenire consapevole anche delle questioni di ordine etico e morale legate al suo reato (inizia a sentirsi in colpa per aver portato droga in Italia, questo soprattutto vedendo un altro utente molto giovane con evidenti danni causati dalla cocaina).
Nel frattempo continua a chiedere di andare a pranzo con i genitori per parlare dell’azienda. Gli viene negato l’incontro con la famiglia poiché l’équipe ritiene opportuno che Andrea concentri la sua attenzione su altro provocando così in lui una crisi.
Questo è un momento di svolta nella terapia di Andrea: la terapeuta lo trova la mattina in comunità che vuole andar via, è arrabbiato col mondo. Lo segue per la comunità perché si rifiuta di entrare nella stanza per il colloquio. Andrea inizia ad esprimere una profonda rabbia per essersi sentito incompreso, non appena apre un varco su un sentimento di tristezza la terapeuta accorcia le distanze mettendogli una mano sulla spalla ed è in quell’occasione che lui scoppia in un pianto disperato. Da quel momento inizia il colloquio: Andrea si rende conto di quello che succede e che il motivo per cui è così depresso è perché non ha visto i suoi cari e non per ragioni legate al lavoro. La settimana successiva gli viene concesso di pranzare con i suoi familiari.
Nel frattempo Andrea mostra una consapevolezza maggiore rispetto alle sue difficoltà ed una maggiore empatia con le persone: per esempio riesce a gioire con la moglie di un successo ottenuto da quest’ultima.
Da quella crisi ne seguono altre due dovute al fatto che le difese narcisistiche vengono utilizzate da Andrea molto meno e soprattutto in modo meno convinto. La seconda crisi è relativa al rapporto con un utente anziano (in cui lui rivede suo padre, deve infatti sottostare alle sue regole). In questa situazione Andrea dice alla moglie che preferisce tornare in carcere ma quest’ultima si oppone fermamente e questo fa rientrare il momento di difficoltà. L’ultima crisi è portata avanti in maniera diversa da Andrea: investito di ruoli di responsabilità in comunità, dopo qualche settimana rifiuta le attività poiché queste riattivano il vecchio meccanismo narcisistico provocando un senso di distanza dagli altri utenti. Inoltre, ora riesce a sentire maggiormente l’angoscia degli altri ospiti della comunità e questo lo fa star male. Dall’altra rifiutare il ruolo lo mette in difficoltà con l’équipe che crede di aver deluso. Inoltre, questa crisi è dovuta anche ad altri fattori: la situazione legale che diviene sempre più preoccupante, il rapporto con la sua famiglia d’origine, la preoccupazione per il figlio.
Egli, al contrario delle altre volte, non agisce i sintomi, ma parla delle sue difficoltà verificando che l’équipe è affettuosamente presente e disponibile (nonostante continui a dire, con poca convinzione, che vuole andare a fare un corso).
Durante la crisi Andrea chiede di cambiare struttura dimostrandosi comunque disponibile a ragionare sulla sua richiesta. Riconoscendogli il difficile e complesso periodo, si concorda con lui un permesso a casa di due giorni con l’obiettivo di offrirgli uno spazio di decompressione dalle problematiche che ultimamente gli si erano presentate e l’occasione di stare insieme alla moglie ed al figlio, avendo così la possibilità di rimettere in ordine le priorità dei suoi obiettivi. Al termine del permesso, Andrea avrà la possibilità in comunità di fare il punto della situazione e decidere insieme all’équipe come andare avanti nel suo percorso terapeutico.
Dopo questi episodi, Andrea continua ad alternare momenti in cui ancora ricade nei vecchi meccanismi a momenti in cui riesce ad esprimere le sue difficoltà ed a lavorare su di esse.
L’INTERRUZIONE DEL TRATTAMENTO
Nel frattempo i procedimenti legali di Andrea seguono il loro corso. L’Avvocato che lo segue ha costanti contatti con l’équipe della comunità. Una volta fissato il processo vengono predisposte due perizie: quella d’ufficio e quella di parte, da parte di due psichiatri. A 7 mesi dall’ingresso in comunità Andrea viene sottoposto alle perizie. L’équipe della comunità collabora con entrambi i periti per tutta la durata del procedimento, indicando anche la diagnosi e l’intervento previsto dalla comunità. Andrea ha successivamente contatti con il suo Avvocato il quale gli comunica l’inaspettato e positivo esito del processo. Egli ottiene infatti una pena inferiore alle aspettative con l’indicazione da parte di entrambi i periti dell’utilità di continuare il suo percorso in comunità.
Successivamente, Andrea inizia a chiedere di uscire dalla comunità per poter riprendere la sua attività lavorativa. Nonostante il parere contrario dell’équipe egli, a circa un mese dall’esito del processo, decide di interrompere il programma. La comunità gli rimanda comunque delle perplessità circa la sua interruzione e la necessità per lui di proseguire il percorso intrapreso. Egli chiede inizialmente di poter continuare comunque i colloqui con la sua psicologa di riferimento privatamente. Dopo l’uscita di Andrea dalla comunità, l’équipe riceve una serie di informazioni inaspettate circa il comportamento tenuto da Andrea in comunità nei tempi precedenti: il coinvolgimento di alcuni parenti di Andrea in attività malavitose, continui richiami da parte di Andrea ad altri utenti della comunità a compiere reati sotto le sue direttive ed infine una serie di trasgressioni precedentemente commesse da Andrea in comunità. Egli esprime quindi diversi piani di funzionamento: da una parte non mostrando aspetti di grandiosità del sé con gli agenti terapeutici, dall’altra mantenendoli invece con gli altri utenti. Il percorso di Andrea è in realtà imperniato su una lunga oscillazione in cui gli aspetti di grandiosità vengono agiti ora con l’équipe, ora con l’utenza. Nel momento in cui più sente un avvicinamento da parte dell’équipe ed un relativo spiraglio di cambiamento e cura passa poi a provare bramosie di rivendicazione, portando avanti degli attacchi forti al legame che provocano a loro volta risonanze importanti negli operatori e nella terapeuta. L’équipe in questo è necessario che mantenga sempre una linea di ragionamento su ciò che capita e che sia coesa circa la scelta degli interventi terapeutici.
Circa la richiesta di Andrea di continuare la terapia privatamente, la psicologa prende contatti con il Ser.T. chiedendo la disponibilità a poter svolgere con loro un lavoro d’équipe sottoponendo l’utente a periodici doping. Questa diviene una necessaria condizione per poter accogliere la richiesta dell’utente. Gli operatori del Ser.T. si dimostrano disponibili a collaborare e la terapeuta convoca quindi Andrea per informarlo sulle notizie raccolte mettendolo di fronte agli accordi per poter continuare a seguirlo, sottolineando l’importanza di un proseguimento del percorso. Di fronte alle richieste Andrea rinuncia ai colloqui dicendo di sentirsi in qualche modo “incastrato” dalla sua terapeuta.
A seguito di questi eventi, la terapeuta comunica ai Servizi coinvolti le perplessità circa la chiusura del percorso da parte dell’utente, ritenendo ancora utile lavorare con lui sulla motivazione alla cura e sulla presa di coscienza della necessità di continuare il suo percorso terapeutico.
A distanza di circa 7 mesi dall’ultimo contatto con Andrea, la terapeuta tramite lo psichiatra che aveva svolto la perizia di parte e l’Avvocato di Andrea viene informata degli ulteriori sviluppi della situazione di Andrea. Egli vive tuttora con la moglie ed il figlio al quale è molto legato, sta lavorando nell’azienda di famiglia e sembra stare abbastanza bene. Su queste informazioni viene concordato con il supervisore di ricontattare telefonicamente sia Andrea che la sua famiglia per sapere come sta andando.
Tramite questi contatti telefonici la terapeuta raccoglie le seguenti informazioni: Andrea sta lavorando ed è molto impegnato. La moglie è partita con il figlio per il suo paese d’origine a gennaio e saranno di ritorno a maggio. Andrea sembra sentire tanto la loro mancanza. Dopo la loro partenza Andrea si è trasferito temporaneamente a casa dei genitori per non rimanere solo. Dopo l’uscita dalla comunità Andrea dice di non aver più toccato la cocaina. Racconta di essersi ubriacato due volte e di aver distrutto il bagno di casa sua a seguito di litigi con la moglie. Dice che poi ha rimesso tutto a posto. Dice che con i genitori va abbastanza bene anche se lui ed il fratello cercano di appropriarsi dell’azienda “facendo fuori” i genitori, ma non ci sono ancora riusciti. Andrea racconta di aver pensato spesso alla terapeuta ed alla comunità e di aver avuto voglia di ricontattarli per salutarli e chiarire delle cose. La terapeuta in occasione di questo contatto telefonico da ad Andrea la sua disponibilità per incontrarlo e parlare di ciò che è successo.
RIFLESSIONI CONCLUSIVE:
- a) LA PSICOPATOLOGIA ED IL PERCORSO TERAPEUTICO
L’analisi di questo caso porta a riflessioni importanti nel trattamento di questo particolare tipo di tossicomanie da cocaina.
Innanzitutto, è da notare che il percorso in comunità per questa tipologia di utenza diviene, ancora più che per altri, solo una fase di un progetto terapeutico più ampio che ha inizio con la crisi e che dovrebbe proseguire dopo la permanenza in comunità con la ricostruzione graduale della personalità. Il percorso comunitario non è centrato come per altri su un lavoro impostato su aspetti rieducativi ma su un contenimento ed un obbligo a fermarsi per una pausa di riflessione. Durante tale pausa obbligatoria l’utente può velocemente ricompattarsi portando alla luce aspetti di forte competenza e provocando nell’équipe risonanze di idealizzazione ed affascinamento per l’utente. Tale fase però precede spesso un cambiamento di posizione in cui il paziente può assumere un atteggiamento di rivendicazione mettendo in atto forti attacchi al legame terapeutico. E’ utile aprire un ragionamento durante il percorso terapeutico su questi diversi piani di funzionamento e sulle oscillazioni tra l’uno e l’altro nei rapporti significativi al fine di far riflettere il paziente sulle modalità relazionali disfunzionali e sull’effetto che queste hanno sugli “altri significativi”.
In secondo luogo, c’è da affermare che molti dei trattamenti di questa tipologia di utenza sono coatti, derivati perlopiù da problematiche legali. Queste sono spesso causa della crisi che vede l’incontro di un agente di cura con una personalità narcisistica che inizialmente non ha alcuna consapevolezza del suo bisogno di instaurare relazioni importanti che lo aiutino a raggiungere un equilibrio più sano ed utile. La creazione di tali relazioni d’aiuto risulta pertanto più difficoltosa. Sostiene Kernberg (6) che: “Poiché gli appagamenti sperimentati dal paziente nel passato erano incentrati sul sé , il soggetto non ha a disposizione nessuna esperienza trascorsa con gli altri e con il mondo esterno, qualcosa di significativo che sia stato vissuto e goduto, che egli possa portare con sé e reinvestire in relazioni presenti e future con gli altri e in valori…Per evitare la temuta situazione fantasmatica di essere l’oggetto svalutato di un sé grandioso proiettato e attribuito agli altri, le relazioni oggettuali presenti, soprattutto quelle di natura dipendente, devono essere negate e poi svalutate” (p. 131). Inoltre, all’interno di tali relazioni d’aiuto, una volta create, deve rientrare lo spazio per un’empatica ma sistematica confrontazione rispetto agli aspetti di realtà ed alle risonanze che i comportamenti del narcisista hanno sugli “altri significativi”, compreso il terapeuta. Queste confrontazioni mettono ancora più a repentaglio il mantenimento nel tempo di tali relazioni terapeutiche. Sostiene Kernberg (6) come, a seguito di tali confrontazioni, il paziente narcisista possa manifestare aspetti depressivi e precisamente l’autore spiega la nascita di tali manifestazioni depressive come “…diretta manifestazione del lutto per la perdita di alcune funzioni investite narcisisticamente, spesso con un senso di collera impotente, vergogna ed umiliazione e, sul piano della fantasia, con sentimenti di sentire trionfo, disprezzo e svalutazione da parte degli altri” (p. 140). Queste manifestazioni depressive, se il trattamento continua, possono conseguire naturalmente alla presa di coscienza di aspetti disfunzionali nelle relazioni con gli altri. La depressione può essere per il narcisista più o meno accettabile a seconda del grado di consapevolezza che questi ha raggiunto nelle varie fasi del trattamento. Nel caso di Andrea, per esempio, gli aspetti depressivi espressi erano legati perlopiù da una parte alle confrontazioni ricevute nel contesto terapeutico ed alla conseguente rabbia e rivendicazione, dall’altra alle forti pressioni della famiglia d’origine ed attuale rispetto al suo potersi prendere uno spazio per sé in comunità.
- b) IL CONTROTRANSFERT E LE DIFFICOLTA’ DEI TERAPEUTI
Nell’ambito della difficile relazione terapeutica con il narcisista che presenta, come sintomo, una dipendenza da cocaina, un’ulteriore difficoltà è dovuta alle varie e tipiche risonanze controtransferali. Queste risonanze si muovono spesso, rispecchiando i movimenti di idealizzazione e svalutazione del paziente, da fasi in cui prevale un affascinamento per il paziente ed una soddisfazione per il lavoro svolto a fasi in cui invece emerge un senso si colpa relativo al fallimento della terapia e/o una rabbia intensa relativa al vissuto di tradimento ed inganno da parte del paziente stesso nei confronti degli agenti terapeutici. Come sostenuto da Kernberg, questi movimenti sia nel paziente che, conseguentemente, negli agenti di cura sono una riattualizzazione delle relazioni interiorizzate del narcisista e come tali vanno rilette per poter uscire dall’impasse e poter avviare un ragionamento sul caso che sia al paziente di una qualche utilità (6).
Intorno al percorso di Andrea i movimenti controtransferali dell’équipe, in primo luogo della terapeuta e del supervisore, sono stati particolari. Infatti, le varie fasi del percorso hanno avuto risonanze diverse sull’équipe. Nel primo periodo di permanenza in comunità di Andrea gli operatori e la terapeuta erano da una parte colpiti ed affascinati dagli aspetti di competenza e di adeguamento che egli mostrava e dall’altra dubbiosi circa il da farsi in una situazione così complessa. Queste risonanze sono state anche motore delle richieste di supervisione. Nel periodo subito successivo alla supervisione in cui si è inquadrato il caso e si sono avuti i primi successi nella terapia, Andrea è stato considerato un caso esemplare, tanto da convincere sia la terapeuta che il supervisore che il suo caso potesse essere raccontato in vari contesti (convegni ed articoli) per esemplificare il lavoro terapeutico svolto in Saman. Questo ha condotto conseguentemente ad un maggiore coinvolgimento con Andrea ed ad ulteriori successi terapeutici. Andrea ha continuato per un periodo a mostrarsi come l’utente ideale, da una parte rendendosi conto di vari elementi concreti di cambiamento e forse dall’altra facendo “un regalo” all’équipe della comunità, portando avanti elementi di grandiosità importanti ora adeguati ad aspettative positive ed utili (quelle della terapeuta e dell’équipe).
Successivamente, quando Andrea, dopo il processo, ha cominciato a manifestare l’intenzione di interrompere il percorso comunitario e soprattutto in occasione delle sconvenienti rivelazioni dopo la sua uscita, l’équipe della comunità si è sentita per un periodo ingannata, tradita ed ha ragionato su una serie di episodi in cui poteva “essere più competente”. Questo probabilmente il riflesso della confermata oscillazione di diverse modalità di Andrea nel manifestare aspetti di sé: ora umile con la terapeuta e gli operatori e grandioso con gli altri utenti; inoltre, forse il riflesso di un cambiamento di atteggiamento in cui Andrea, resosi conto delle possibilità di guarigione e cambiamento, manifestava aspetti di “rivendicazione” nei confronti dell’équipe della struttura che gli aveva concesso di “vederli”. Sostiene Kernberg (6) che quando l’equilibrio narcisistico viene ad essere disturbato da un evento critico o dalla terapia, il paziente possa avere reazioni di tipo paranoide: “E’ veramente sorprendente la frequenza con cui non si riesce a risolvere mai completamente, nel processo analitico, piccole distorsioni paranoidi, che silenziosamente si accumulano per un periodo di mesi o anni e infine emergono sotto forma di una massiccia proiezione, quasi delirante, di un’immagine materna primitiva persecutoria sull’analista. Oltre ai significati dinamici, tale proiezione può avere funzioni multiple: proteggere la qualità idealizzata del sé grandioso patologico; razionalizzare le reazioni di delusione, la svalutazione dell’analista e in genere il passaggio all’atto; preparare la strada per così dire, per un abbandono prematuro del trattamento (come espressione del bisogno di espropriare la conoscenza del terapeuta, di frustrare la sua soddisfazione per il miglioramento del paziente e di riaffermare l’autosufficienza di quest’ultimo).”(pp. 144-145).
CONCLUSIONI
Per concludere, questi utenti pongono tre differenze specifiche e problematiche nel corso trattamento. Per prima cosa, come detto sopra, presentano un fascino particolare ed una capacità di adattarsi in maniera manipolatoria alle richieste anche non dette del terapeuta per cui facilmente possono convincere rispetto ad un avvenuto miglioramento ed ingannare così il terapeuta ed a volte il paziente stesso.
Secondariamente, questi soggetti hanno una tendenza forte a mentire e quindi pongono il terapeuta nell’arduo compito di verificare la veridicità delle loro affermazioni. Una riflessione che si ritiene utile fare a proposito di questo riguarda l’importanza soprattutto in casi del genere del mantenimento di una rete tra i vari sistemi implicati con la persona. Infatti, tutte le fasi del percorso di Andrea sono state seguite da un costante contatto con i familiari, con i Servizi, con l’Avvocato e con i periti. Senza tali contatti non si sarebbe potuto seguire tutto il percorso di Andrea sotto le varie prospettive. Questo poteva significare perdere la gran parte delle informazioni e verifiche riportate brevemente in questo scritto e non poter ricostruire un ragionamento utile all’utente ed ai Servizi su queste vicende.
In terzo luogo, c’è una importante possibilità che tali soggetti si riadattino velocemente su un falso equilibrio rispetto alle loro difese: una ricomposizione successiva alla crisi su modalità laterali simili a quelle precedenti. Questo implica che le misure interpersonali e/o legislative che avevano messo in atto la coazione alla cura possano poi essere evitate. L’utente impara a gestirsi meglio, ma non opera un cambiamento strutturale della propria personalità e delle relative difese patologiche. Questo nuovo e parziale riassestamento comporta da una parte dei vantaggi, relativi per esempio alla limitazione dei danni a cui la persona prima andava incontro; dall’altra, però costituisce un modo di eludere una mutazione più profonda e proficua, incarnando in se stesso una forma di diniego e svalutazione circa la necessità di tale mutazione. Questo apre una riflessione sulle modalità di interruzione di programma. Infatti, nel caso di Andrea, come negli altri trattati nelle nostre strutture, è stato l’utente a poter decidere di interrompere la sua permanenza in comunità e quindi la terapia. Se da una parte è fondamentale che la decisione sia di intraprendere che di interrompere il programma in comunità venga presa dalla persona e non dagli operatori, a questi ultimi rimane però l’importante compito di rimandare, in quanto esperti, le loro opinioni circa ciò che sarebbe utile all’utente e ciò che invece potrebbe costituire una difficoltà.
Questo tipo di riflessioni è importante soprattutto nell’ottica che il percorso comunitario non esaurisca tutte le necessità di cambiamento dell’utente, ma costituisca una parte del suo percorso in cui comunque poter rinforzare le proprie competenze adulte. Tali competenze adulte si esplicano anche nel poter decidere su di sé, e non nel porsi in una situazione di subordinamento alle decisioni prese da altri. Questo atteggiamento, insieme alla comunicazione adulta da parte dell’équipe delle perplessità legate alle decisioni dell’utente, lascia una porta aperta a quest’ultimo per potersi successivamente rivolgere alla stessa équipe o ad altri professionisti per chiedere aiuto, nel momento in cui si manifestassero ulteriori difficoltà, nell’ottica che un parziale riassestamento dell’equilibrio della persona sia fondamentalmente diverso dall’ultimo e più alto obiettivo terapeutico che con questi soggetti è primario, e cioè la ristrutturazione più profonda della personalità narcisistica. Questo, a conti fatti, crediamo sia successo nel caso di Andrea, il quale attualmente ha ripreso un suo equilibrio che gli permette di vivere abbastanza bene e che comunque potrà tornare a fare una richiesta d’aiuto nel momento in cui si dovessero manifestare altre problematiche, al fine di portare avanti un lavoro terapeutico con obiettivi più ampi ed importanti per sé. A distanza di sette mesi circa da quel momento di “rottura”, infatti, emergono con più chiarezza questi aspetti evolutivi nel percorso di Andrea e nelle conseguenti risonanze degli operatori.
Prof. Luigi Cancrini1
Dott.ssa Silvia Garozzo2
- C. Perucci in “Bozza Atti Seminario: Costruiamo il Piano Regolatore Sociale sulle dipendenze”, Comune di Roma ed Agenzia Comunale per le Tossicodipendenze, Roma, 31 maggio 2002.
- P. Soggiu nella “Giornata Mondiale contro l’uso ed il traffico delle sostanze stupefacenti”, organizzata dall’Onu, Roma, 26 giugno 2002.
- L. Cancrini, “Lezioni di Psicopatologia”, Bollati Boringhieri, Torino 1997.
- L. Cancrini, “Quei temerari sulle macchine volanti”, La Nuova talia Scientifica, Roma 1982.
- L. Cancrini, “Schiavo delle mie brame: le dipendenze da sostanze, da gioco e da altro”, in corso di stampa, Frassinelli Ed., Milano.
- O. Kernberg, “Mondo Interno e Realtà Esterna”, Bollati Boringhieri Ed., Torino, 1985.
- L. S. Benjamin, “Diagnosi interpersonale e trattamento dei disturbi di personalità”, Las Ed., Roma 1999.
- O. Kernberg, J. F. Clarkin, F. E. Yeomans, “Psicoterapia delle personalità borderline” Raffaello Cortina Ed., Milano 2000.
- S. Minuchin, Wai-Yung Lee, G. Simon, “Lavorare con le famiglie“ Franco Angeli Ed., Milano 1999
1 Direttore scientifico Associazione Saman.
2 Psicologa e psicoterapeuta, svolge attività privata, opera come consulente presso la comunità specialistica Saman di Latina e presso il carcere di Rebibbia.