IL CASO DI MARCO
Il caso è quello di un utente seguito in una delle nostre sedi specialistiche. Il racconto è così strutturato: invio; cenni di storia personale e familiare; colloqui d’accoglienza; primo ingresso in comunità; la comunità: aspetti educativi; terapia individuale; supervisione iniziale; sviluppi terapeutici dopo la supervisione; interruzione del programma e rientro; sviluppi del programma. Nel racconto viene usato un nome fittizio ed i dati dell’utente sono ridotti al minimo per garantirne l’anonimato. L’utente tuttavia ha letto quanto riportato ed ha approvato la pubblicazione.
L’INVIO
Marco (25 aa.) è stato trasferito presso la comunità specialistica Saman di Latina dalla sede Saman di Milano all’inizio di gennaio 2002 in terapia metadonica a scalare. Lo scalaggio era stato imposto a Marco per accedere alla comunità di Latina. Gli operatori del Ser.T. di riferimento, comunque, benchè non ritenessero fondamentale lo scalaggio del metadone, hanno rimesso all’équipe di Latina ogni decisione in merito. La loro idea era quella che Marco avrebbe retto in comunità fino alla bella stagione: essendo senza fissa dimora e viste le temperature di gennaio a Milano, avrebbe accettato di stare in comunità; in seguito secondo loro vi era una grande probabilità di interruzione del programma. In concreto il Servizio di competenza territoriale credeva ben poco nelle capacità di recupero di Marco.
CENNI DI STORIA PERSONALE E FAMILIARE
Le prime informazioni raccolte direttamente da Marco a Latina sono le seguenti:
La storia personale di Marco non è molto chiara; dice di non averla mai raccontata e di averla ricostruita attraverso notizie del Tribunale dei Minori; le omissioni e le incongruenze temporali a suo dire sono dovute alla sua volontà di dimenticare il suo passato, obiettivo che dice di stare raggiungendo.
Dai documenti risulta essere nato in Italia, ma sostiene di essere nato in Algeria. Dice di non aver mai conosciuto la madre, forse è stato allevato da lontani zii sino ai tre anni. Dai 3 ai 10 anni il Tribunale dei Minori di Milano lo inserisce in un Istituto per minori e adulti tossicodipendenti. All’inizio vi si trova male, poi si affeziona ad un operatore e sta meglio. Durante le elementari (frequentate in Istituto), viene adottato da una famiglia. Quando ha 12 anni alla coppia nasce un figlio naturale. All’inizio Marco teme che il fratellastro possa togliergli l’affetto dei genitori, in seguito gli si affeziona. Durante l’adolescenza racconta della nascita di una storia d’amore tra lui e la madre adottiva, motivo per il quale Marco lascia la famiglia. In un secondo momento invece racconterà che la motivazione per cui è fuggito è relativa al fatto che avendo già iniziato a toccare le sostanze e a condurre una vita di strada aveva paura di deludere i suoi genitori adottivi. Iniziano a 14 anni le prime carcerazioni al Beccaria di Milano. Quando non è dentro è ospite di una comunità per minori e tossicodipendenti. In tale ambiente si avvicina all’eroina.
Sulla sua storia personale, il Ser.T. riferisce di avere notizie diverse. Al Servizio risulta che Marco non è figlio unico, ha dei fratelli ed è vissuto con la madre naturale sino a 7/10 anni; la madre poi abbandona i figli. La sorella primogenita, quando lui era minorenne, lo ha ospitato in casa, per seguirlo, ma senza successo. Dal Ser.T. però inizialmente, nonostante le ripetute richieste, non si riescono ad ottenere maggiori informazioni.
COLLOQUI D’ACCOGLIENZA
All’epoca dei colloqui di Accoglienza, Marco era ospite del pronto intervento della comunità L’Arca da circa tre mesi, in metadone. Tutti i precedenti tentativi di scalaggio in varie strutture erano falliti: arrivato a dieci mg. Marco ha sempre interrotto il programma.
Racconta l’Accoglienza di Milano che, durante tale periodo, Marco dà una diversa versione della sua storia personale, dichiarando di essere algerino e non calabrese. Il tentativo di confronto sull’argomento effettuato dagli operatori del suo Ser.T. termina con un’esplosione di rabbia da parte di Marco e l’argomento non viene più toccato. Per molto tempo, prima dell’ingresso in Saman, vive per strada e svolge lavori saltuari.
PRIMO INGRESSO IN COMUNITA’
A settembre, quindi, entra come residente nella comunità Saman di Milano per scalaggio, a 70 CC. di metadone, con il seguente programma: riadattamento farmacologico, osservazione e orientamento ad un programma idoneo. Aderisce al contesto comunitario, pur mostrando qualche difficoltà nell’accettare i ritmi e le attività quotidiane. Maggiori problemi vengono incontrati dagli operatori milanesi rispetto al lavoro progettuale: Marco si limita a richiedere lo scalaggio del metadone; non riesce però a vedersi come persona in grado di inserirsi nel contesto sociale. Tutto il periodo trascorso a Milano è stato caratterizzato da cambiamenti di programma, contrattazioni, mediazioni, affinché Marco non ripiegasse su un ulteriore richiesta di pronto intervento, che il Ser.T. non era disponibile a concedergli. E’ stato svolto anche un lavoro sulle motivazioni. Infine, è stato trasferito a Latina, in scalaggio, su un aut-aut: o sceglieva di proseguire il programma a Latina oppure sarebbe uscito ed il Ser.T. non sarebbe stato d’accordo con un’altra struttura.
LA COMUNITA’:
ASPETTI EDUCATIVI
Dopo il pasticcio sul metadone citato all’inizio, Marco inizia a Latina uno scalaggio interrotto a 20 mg.. Siccome soffre di calcoli renali e di altre patologie, in comunità viene fatto con lui un lavoro centrato sull’accudimento, in quanto si ravvisa nella richiesta di cure mediche la sua modalità di entrare in relazione con gli operatori. Solo dopo qualche tempo inizia ad effettuare colloqui con la psicoterapeuta di riferimento (dopo aver parlato con il referente terapeutico); a Milano invece li aveva sempre rifiutati.
In comunità inizialmente ha un atteggiamento molto provocatorio. Sta con fatica agli orari e nei settori assegnatigli. Pian piano l’aggressività verbale nei confronti degli altri ospiti aumenta sempre più, sino a passare quasi alle vie di fatto con due di loro. Quando viene confrontato sulle sue mancanze, in un primo tempo sembra non riconoscerle come tali, in seguito le ammette e chiede scusa. Gli altri ragazzi tendono ad entrare in contatto con lui il meno possibile e lui, nel gruppo, spesso intralcia deliberatamente il lavoro degli altri o ha scontri con gli utenti più anziani.
In uno di questi episodi, dietro alla richiesta di andare in infermeria a prendere il metadone, ha uno scatto di nervi verso un utente anziano spingendolo contro il muro e spintonando un altro utente intervenuto. La sera prima c’era stato un episodio quasi analogo. Rispetto a questi agiti, in un primo tempo, vista la sua incapacità a riconoscere la gravità delle proprie azioni e vista l’idea di dare dei confini rispetto a tali trasgressioni, si prende in considerazione un suo temporaneo trasferimento in una sede maggiormente contenitiva. Tale trasferimento poteva essere riletto sia come punizione che come accoglimento delle sue difficoltà a stare ai ritmi ed alle regole di Latina. L’altra sede gli sarebbe stata proposta per effettuare solo lo scalaggio del metadone e per definire il suo percorso futuro. Prima di ricorrere a questo, gli viene concessa una settimana di tempo durante la quale, attraverso l’adempimento di una serie di regole scrittegli da un operatore, l’équipe avrebbe valutato meglio il suo caso e l’opportunità di un suo proseguimento nella sede di Latina e lui avrebbe dimostrato se può stare a queste regole e quindi reggere all’organizzazione della comunità o meno.
Dopo questo intervento, Marco, nonostante continui a chiedere un’altra comunità con ritmi più blandi, in realtà fa trasparire un attaccamento alla comunità di Latina. Anche questo aspetto porta alla decisione di dargli ancora una possibilità prima di prendere in seria considerazione un trasferimento.
TERAPIA INDIVIDUALE
Rispetto ai colloqui psicologici, Marco fa i primi due colloqui. Si siede distante, al di la della scrivania, non guarda negli occhi e sbuffa in continuazione. Probabilmente si è sentito abbandonato dalla comunità di Milano, l’impatto con Latina è stato difficile e lui ha paura ad entrare in rapporto con le persone. Dopo i primi due colloqui inizia a rifiutarne altri, dicendo che non gli servono e che vuole solo andar via. Mostra atteggiamenti molto svalutanti anche nei confronti della psicologa, la quale comunque continua a chiamarlo tutte le settimane dicendogli che lo spazio per lui c’é. Viene fatta per lui una diagnosi sull’Asse 2 di Disturbo Borderline di personalità. Inoltre, Marco presenta degli aspetti autistici sia nel linguaggio corporeo che in quello verbale. Dopo qualche settimana, nel timore dell’équipe di non riuscire a creare un aggancio con lui, il referente terapeutico lo convoca per un colloquio in cui fa il punto della situazione. Marco, come al solito, porta tutta la sua rabbia e la richiesta di essere trasferito presso un’altra sede. Fanno un patto: lui farà 4 colloqui con la psicologa e 4 con l’operatore di riferimento dopo di ché, se sarà ancora convinto della richiesta di trasferimento, si provvederà a questo. All’inizio di marzo viene chiamato come sempre per un colloquio psicologico ed accetta. E’ verbalmente aggressivo e distante: dice che si sente incastrato perché lui non ha parenti che lo possono venire a prendere. Sta molto male, non riesce a reggere la comunità, e dall’altra rimane e ce la mette tutta. Vuole il trasferimento. Non si riesce ad entrare in rapporto empatico con lui. Il controtransfert è comunque molto forte: una stretta allo stomaco.
SUPERVISIONE INIZIALE
Subito dopo questo ultimo colloquio e dopo gli ultimi agiti aggressivi di Marco, l’équipe di Latina porta il caso in supervisione.
Le richieste di supervisione sono le seguenti:
– in terapia: come creare l’aggancio;
– in comunità: come poter arginare i suoi agiti violenti.
Le indicazioni che vengono date dal supervisore sono le seguenti:
– Marco sembra essere una persona senza passato e senza futuro, non riesce a capire che ogni persona ha un progetto e quindi non riesce a definire il suo;
– Il trasferimento non è terapeutico, può avere un senso solo in forma temporanea e come punizione;
– Rispetto ai colloqui individuali, viene colto il punto di aggancio più importante per lui. L’unico modo di entrare in relazione con Marco è attraverso la sua storia. In particolare viene fatto un collegamento tra le difficoltà in comunità e la sua storia rispetto all’adozione. L’indicazione per la terapeuta è quella di indurre in lui una sorta di trance per farsi ascoltare chiedendo a lui che posizione vuole assumere nella stanza, come la vuole ascoltare, fino a quando è disponibile ad ascoltare, quanto vuole stare nella stanza del colloquio, ecc.. Successivamente a questo, l’indicazione è di rimandare a Marco che il suo atteggiamento è comprensibile come una gran paura di farsi “adottare” dalla comunità, di poter essere geloso degli altri utenti e di dover poi essere costretto ad andare via in qualche modo, come è stato con la famiglia adottiva. Ha paura che una vicinanza eccessiva lo costringa a scappare. Ha paura di una fusione. Ha talmente bisogno dell’altro che se si avvicina teme di perdere sé. Quindi, da una parte vuole essere “adottato” e dall’altra ne ha paura. Bisogna allora riconoscere per esempio che non può fare un colloquio intero perché vorrebbe dire avvicinarsi troppo.
– Per la psichiatra si consiglia di proporre a Marco una terapia farmacologia con modalina, 2 mg., per il controllo dell’impulsività e per regolare i ritmi sonno-veglia.
SVILUPPI TERAPEUTICI DOPO LA SUPERVISIONE
Questa nuova lettura rispetto al controtransfert permette all’équipe della comunità di capire meglio Marco e le sue difficoltà e quindi di essere molto più empatici con lui, nonostante i suoi attacchi. Nel colloquio successivo la psicologa mette in pratica le indicazioni avute in supervisione parlando con lui con voce molto bassa e calda senza cadere nelle provocazioni. Fa scegliere a lui la distanza ed i contenuti che vuole ascoltare. Lui accetta di ascoltare e per la prima volta guarda dritto negli occhi. La terapeuta gli rimanda che è spaventoso creare rapporti di “adozione” con la comunità (cosa che a Milano non si poneva essendo il periodo di permanenza previsto limitato allo scalaggio) come lo è stato con i genitori adottivi. Lui appare più disponibile a cogliere. Gli rimanda che anche se andrà via ed avrà aggiunto un pezzetto, e cioè capire che se non inizia a creare dei rapporti rischia di continuare a fare il “pacco postale”, sarà comunque importante. La terapeuta fornisce inoltre a Marco delle spiegazioni sulla funzione dei colloqui (visto che non ne ha mai fatti prima). Lui ascolta, non sbuffa. Questa iniziale lettura del transfert (dopo solo un mese circa di permanenza) permette di dare una ridefinizione ai sintomi e agli attacchi che egli fa in comunità come espressione della sua paura a creare legami affettivi importanti. Inoltre, tale rilettura da valore al significato dei sintomi di Marco in relazione alla comunità e delle sue modalità relazionali in genere.
Dopo qualche tempo, Marco fa un altro agito aggressivo a seguito del quale si decide di mandarlo in permesso in un’altra sede per punizione per 15 giorni.
Il colloquio che precede la sua partenza sembra rivestire una certa importanza. Marco entra in colloquio, si siede dietro alla scrivania e inizia ad urlare arrabbiato. Ad un certo punto la psicologa blocca questo fiume di lamentele e gli chiede come sta. Marco dice che è triste, che non si sente capito. Allora la psicologa gli spiega il senso della punizione, sottolineando che nei 15 giorni lui non dovrà far altro che lavorare e stare alle regole, e che comunque poi tornerà a Latina perché è lì il riferimento per lui fino a prova contraria. Gli dice anche che capisce che lui può sentirsi abbandonato; gli spiega che non è così e che tornerà qui, subito dopo, a proseguire il percorso che ha iniziato. Gli sottolinea come, nonostante le difficoltà ed il malessere, Marco si stia impegnando molto. Lui allora fa gli occhi lucidi e dice che si sente capito dalla terapeuta ma non dagli altri. Il rimando che la terapeuta da a Marco allora è che si comincia a capirlo nel momento in cui lui ne da la possibilità e che è utile tener presente questo sia se vorrà rimanere, sia se vorrà andar via. Inoltre, la terapeuta gli rimanda che se poi lui vorrà andare in un’altra sede ci andrà, ma tenendo presente che questo vorrà dire ricominciare da capo ad entrare in relazione, con gli aspetti positivi e negativi che ciò comporta.
Marco parte per il permesso con le lacrime agli occhi e chiedendo rassicurazioni sul fatto di poter tornare in comunità a Latina.
Al suo rientro, pian piano inizia a dire che non vuole più il trasferimento e che vuole prima lavorare sulle sue difficoltà di relazione. Intervalla momenti di vicinanza e consapevolezza a trasgressioni sulle regole e provocazioni. Viene anche affrontato nel frattempo il lavoro sulle regole e lo scalaggio metadonico, sempre tramite patti in cui lui abbia obiettivi circoscritti e tempi limitati di verifica.
INTERRUZIONE DEL PROGRAMMA E RIENTRO
Durante l’ultimo periodo di permanenza a Latina (giugno), il numero e la qualità degli agiti e delle trasgressioni di Marco aumenta. Si era discusso con lui della necessità di riprendere lo scalaggio metadonico e sostituire questa sostanza con una terapia farmacologica adeguata; ciò con l’idea che il togliersi l’etichetta del “tossico” avrebbe favorito il cambiamento delle modalità di relazione ed il lavoro terapeutico sui problemi che stavano alla base di tali difficoltà. Marco dapprima accetta lo scalaggio, per poi rifiutare però qualsiasi terapia farmacologia alternativa.
Dopo un ennesimo agito eclatante, si decide un trasferimento temporaneo in un’altra sede, riletto da una parte come punizione rispetto agli ultimi agiti, dall’altra come comprensione della necessità per lui di fare una cosa per volta: lavorare prima sulle regole e sullo scalaggio, ed in un secondo momento riprendere il lavoro terapeutico su di sé. Viene pertanto scelta una sede di prima fase affinché un contenimento più forte aiuti Marco nei momenti di crisi.
In un primo tempo, Marco risente molto di questa decisione, rifiutando categoricamente di rientrare a Latina dopo il periodo stabilito, per poi chiedere rassicurazioni e continue conferme in merito, affermando di fidarsi dell’équipe di Latina e delle decisioni da essa prese.
Prima della partenza dell’utente, si concorda con il suo Ser.T. e l’Accoglienza milanese un piano di intervento da mettere in atto qualora Marco non avesse retto nell’altra comunità. Tale piano prevedeva:
– una serie di colloqui per rileggere con Marco, in uno spazio altro, il percorso sino ad allora fatto;
– aiutare Marco a prendere maggiore consapevolezza delle proprie problematiche attraverso colloqui con il D.S.M. di zona per permettere che, se necessario, accettasse e capisse il senso di una temporanea terapia farmacologica;
– verificare la possibilità di re-inserimento in una sede Saman specialistica o in un’altra struttura adeguata;
– un sostegno al fine di prevenire possibili ricadute (tramite per esempio l’inserimento in una struttura residenziale di pronto intervento).
Sia l’accoglienza di Milano che il suo Ser.T. si sono resi disponibili ad effettuare un colloquio con Marco qualora lo stesso avesse abbandonato la struttura o mostrato segnali di forte disagio.
Durante i primi periodi di permanenza presso la nuova sede, Marco manifesta l’intenzione di rimanere presso tale struttura, per poi chiedere un rientro anticipato a Latina. Nell’imminenza del ritorno, mette però in atto un agito grave verso un altro ospite. Si verifica pertanto l’eventualità precedentemente prevista. Sull’abbandono del programma da parte di Marco si provvede a contattare i suddetti Servizi e la psicologa di Latina manda a Marco una lettera di rilettura su ciò che sta capitando. Viene contattata anche l’accoglienza affinché si metta in atto quanto concordato. Per una serie di motivi organizzativi ciò non viene fatto nei tempi previsti.
Marco ricade quasi subito nell’uso di sostanze; i colloqui con il D.S.M. gli vengono fissati dopo un lungo periodo di tempo. Il Ser.T. occupa molto tempo per organizzare un ingresso presso una struttura intermedia ed il rientro presso la sede di Latina, che nel frattempo Marco inizia a chiedere con insistenza.
Marco inizia allora a telefonare regolarmente a Latina, ogni venti giorni circa. In un primo tempo, le sue telefonate si limitano a richieste di rassicurazioni sulla conservazione delle poche cose di sua proprietà lasciate a Latina e sul racconto delle proprie vicissitudini. In seguito, inizia a chiedere consigli e indicazioni su cosa fare e come muoversi per rientrare. Ogni tanto telefona per comunicare un cambio di programma (per esempio l’ingresso in un’altra comunità) o chiarimenti su cose che gli erano state dette e da lui non ben capite.
A Marco viene fornito telefonicamente, dalla responsabile della comunità, un piccolo spazio di ascolto ed un punto di vista fermo, che all’incirca suona così: “se i tuoi continui agiti e trasgressioni sono dovuti ad una tua scelta di vita, non è la comunità che ti serve: la vita è la tua e la gestisci come vuoi. Se le tue azioni impulsive, come a volte dici, sono indipendenti dalla tua volontà, significa che c’è un problema che devi affrontare, accettando di prenderne coscienza in primo luogo e ogni aiuto che ti venga dato in questo senso poi.”.
Marco viene sostenuto nelle difficoltà e paure che prova nell’intraprendere colloqui con la psichiatra del D.S.M. e sulle resistenze a rivolgersi nuovamente all’accoglienza di Milano (cercando di baypassarla per fare direttamente rientro a Latina). Alla fine, dopo lungo tempo, porta a termine quanto doveva fare: viene preso in carico anche dal D.S.M., si reca in accoglienza accompagnato dagli operatori del suo Ser.T. al fine di rientrare a Latina. Tale percorso per fare rientro in comunità dura circa 6 mesi, in cui Marco si impegna molto per raggiungere lo scopo.
Attende presso il centro di prima accoglienza “l’Arca” di Milano che si liberi un posto nella struttura di Latina. L’Accoglienza di Milano concorda con il Ser.T. un progetto di rientro diverso da quello in un primo tempo proposto dal Servizio. Il Ser.T. intendeva inviare Marco a mantenimento di metadone (40 mg.) per effettuare, in 6 mesi, un lavoro di rielaborazione dei vissuti abbandonici; in seguito, sarebbe stato trasferito in una struttura Saman di prima accoglienza o in una struttura trovata dal Servizio stesso per il reinserimento. L’équipe di Latina, in accordo con l’accoglienza, propone invece per Marco un programma non rigidamente determinato in termini di tempo, includente una maggior flessibilità rispetto ad eventuali scelte di scalaggio della terapia metadonica, una prima fase di programma finalizzata alla ricostruzione dei rapporti che Marco ha mostrato di avere instaurato a Latina ed una procrastinazione del lavoro terapeutico per quanto riguarda i vissuti personali traumatici.
SVILUPPI DEL PROGRAMMA
Marco fa nuovamente ingresso presso la nostra struttura a febbraio 2003.
Il progetto per lui prevedeva per un primo periodo un lavoro sulle difficoltà relazionali in comunità. Rispetto alla richiesta di scalaggio di metadone portata da Marco, si prevede, in accordo con il suo Servizio di riferimento, un lavoro di elaborazione e preparazione accurata rispetto allo scalaggio del farmaco. Tale lavoro ha comportato nel primo periodo uno scalaggio di 10 CC. sui 40 con i quali è entrato. Vengono concordate con lui tutta una serie di strategie protettive rispetto allo scalaggio, che comprendono per esempio, nel momento in cui la tensione sale troppo, il poter parlare con gli operatori o l’isolarsi per mezz’ora a lavorare da solo, l’interruzione momentanea dello scalaggio, ecc.. Così, Marco riesce in questa prima fase di scalaggio ad arrivare a 30 CC., dosaggio al quale si ferma per un lungo periodo di tempo. Si stabilisce di sospendere lo scalaggio metadonico a 30 CC. permettendo così all’utente di poter lavorare con più tranquillità sulle relazioni.
Il rapporto con l’équipe e con gli altri ospiti si mantiene comunque ad un livello discreto.
Rispetto al setting ergoterapico viene inserito dapprima in cucina, e successivamente alla squadra di manutenzione. Porta avanti il lavoro con costanza ed impegno riservandosi le piccole trasgressioni come modalità disfunzionale per fare richieste d’aiuto agli operatori. Viene successivamente inserito anche in ruoli di responsabilità in cui potersi sperimentare in un ruolo di gestione e di accudimento degli altri ospiti.
Partecipa alle meditazioni ed ai gruppi verbali in maniera costante e man mano manifesta anche un grosso interesse ai gruppi psico-educativi.
Al rientro a Latina, Marco appare da una parte maggiormente consapevole delle proprie difficoltà e motivato nel farsi aiutare, dall’altra continua a manifestare grosse difficoltà nella gestione delle relazioni con gli altri e delle regole comunitarie. Il lavoro psicoterapico ha affrontato in questa fase proprio questa ambivalenza al fine di permettere il raggiungimento di un maggiore equilibrio tra queste due istanze contrapposte. Rispetto ai colloqui terapeutici individuali egli inizia a portare in questo contesto gli aspetti di importante conflittualità nei rapporti e conseguentemente a livello comportamentale un’alternanza rispetto all’affidarsi nel rapporto terapeutico. La terapia si concentra proprio sulle difficoltà relazionali. Rispetto a questo tema, successivamente, egli inizia a manifestare difficoltà non più tanto rispetto alle regole, quanto proprio nel rapporto terapeutico. Questo gli permette da una parte di non rischiare di boicottare il suo percorso e dall’altra di portare i conflitti in un contesto neutro in cui questi possano essere analizzati. Attualmente infatti Marco è riuscito a creare e mantenere un rapporto terapeutico costante non più caratterizzato da avvicinamenti e fughe, in cui potersi aprire e confidare. Rispetto ai primi colloqui, sembra di avere davanti un’altra persona. I colloqui si svolgono ora senza nemmeno la scrivania in mezzo: Marco guarda negli occhi, si permette di piangere, parla coerentemente della sua storia, si confronta e chiede aiuto. Inoltre, riesce ad essere affettuoso ed a mostrare gratitudine verso la terapeuta.
Il lavoro è stato impostato su una grande collaborazione con Marco per cui lui legge le relazioni che la terapeuta manda al Servizio, fa le telefonate che lo riguardano insieme a lei, ecc..
La psicoterapeuta della comunità ha continuato nel frattempo a chiedere al Servizio di riferimento un aiuto nel raccogliere informazioni circa la storia di vita dell’utente sul territorio, storia che ancora appariva fumosa e lacunosa e di cui soprattutto non si avevano tracce scritte. Tali informazioni erano utili sia alle riletture circa le ambivalenze di Marco sia per accompagnarlo nella ricostruzione della sua storia e per elaborare una più concreta progettazione per il futuro. Per Marco, infatti, avere un’idea delle possibilità future potrebbe essere d’aiuto rispetto al non investire così tanto nella comunità e quindi a poter gestire con minor angoscia il rapporto con l’équipe e con gli altri ospiti.
A seguito delle pressanti richieste della terapeuta, il Servizio territoriale invia in comunità le poche relazioni rimaste delle varie peripezie della vita di Marco. Tali relazioni vengono lette in colloquio con Marco al fine di ricostruire la sua storia e la sua identità. Inoltre, si avvia un lavoro con Marco in cui sia lui, tramite lettera, a chiedere al suo Servizio delle prospettive per il futuro. Tale lettera viene scritta da Marco insieme alla terapeuta durante i colloqui. La lettera che Marco scrive al suo Ser.T. è molto commovente e spiega bene il percorso interiore che egli sta facendo in comunità. Per questi motivi ne riportiamo i brani fondamentali: ??
“…VI SCRIVO PER RACCONTARVI IL TEMPO TRASCORSO SINO AD ORA IN COMUNITA’. IL MIO PRIMO INGRESSO IN COMUNITA’ FU MOLTO FATICOSO PER UNA SERIE DI SITUAZIONI. CREDO CHE LA COSA PIU’ DIFFICILE SIA STATA DI DOVER VIVERE GIORNO PER GIORNO CON UN GRUPPO DI PERSONE, SOTTOSTARE A DELLE REGOLE, ACCETTARE CHE ANCH’IO COME LORO AVEVO DELLE DIFFICOLTA’. RICORDO BENE NELLA MIA MENTE COME SE FOSSE OGGI QUANTI SFORZI E SACRIFICI HO DOVUTO FARE. MOLTE COSE IN ME ANDAVANO RICOSTRUITE MA NON ERA FACILE ACCETTARLO E NON LO E’ STATO. HO SEMPRE CREDUTO CHE SI POTEVA VIVERE IN UN CERTO MODO. MA BEN PRESTO CAPII! FU QUI, IN QUESTO POSTO, IN QUESTA REALTA’, STANDO VICINO A DELLE PERSONE CHE, IN QUALCHE MODO, COL TEMPO DIVENTANO PERSONE CARE. PASSANDO GIORNO PER GIORNO AL FIANCO L’UNO DELL’ALTRO, IL DOLORE, LA FATICA DEL CRESCERE NON POSSONO ESSERE DA MENO. PER QUANTO RIGUARDA IL MIO RAPPORTO ATTUALE CON GLI OPERATORI, BEH, ORA SE MI SOFFERMO A GUARDARE INDIETRO, MI VIENE SOLO UN GRANDE SORRISO. MA E’ STATA DAVVERO MOLTO MOLTO DURA! FU UN INIZIO DI TEMPESTA: LA NON FIDUCIA, L’ESSERE CONVINTO CHE COMUNQUE IO, MARCO, CHE HO VISSUTO ANNI DA SOLO, NON POTESSI AVERE DEL VERO AIUTO, ERA OGNI GIORNO NELLA MIA MENTE. SENTIVO CHE DOVEVO PASSARE UN MURO, UN MURO DI SOFFERENZA E COLLERA CON IL MONDO INTERO E LORO ERANO QUEL MONDO. NON CREDO CHE RIESCA AD ESPRIMERE IL MALE CHE SENTIVO IN QUEI MOMENTI MA FU TREMENDO MA SILENZIOSO. POI, COL TEMPO, COMINCIAI A CAPIRE E A SENTIRE CHE GLI OPERATORI INTORNO A ME NON VOLEVANO CHE IO SMETTESSI DI PROVARE, DI CREDERE E FU BELLO PERCHE’ MI ACCORSI CHE STAVO RICOMINCIANDO A VIVERE. ORA MI TROVO QUI A DESCRIVERE IN QUESTI FOGLI LE VARIE EMOZIONI CHE QUESTA COMUNITA’ MI HA DATO E CONTINUA A DARMI GIORNO PER GIORNO. ORA MI SENTO DAVVERO DIVERSO. RIESCO A DISTINGUERE MOLTE COSE DA PASSATO A PRESENTE, DA AVER SOFFERTO A REAGIRE: CAPIRE D’AVER BISOGNO DI MARCO QUELLO VERO. PER QUESTO PERCORSO CHE STO CONTINUANDO AVREI BISOGNO DI SAPERE QUALI POSSONO ESSERE LE PROSPETTIVE PER IL FUTURO. QUESTO MI AIUTEREBBE MOLTISSIMO. PER CONTINUARE QUESTO PERCORSO NEL MIGLIORE DEI MODI CON LA SERENITA’ ADEGUATA…”
Dopo questa lettera Marco ha avuto delle risposte dal Servizio che gli proponevano un successivo reinserimento presso altre strutture sul territorio. Nell’analizzarle con la psicoterapeuta egli ha valutato come per lui molto faticoso il dover di nuovo costruire altri rapporti importanti per poi dover elaborare un’ennesima separazione, giungendo alla richiesta di poter fare una parte del reinserimento a Latina e poi tornare direttamente a Milano. Si sta ancora ragionando insieme a lui su queste possibilità. Nel frattempo Marco ha chiesto di poter cercare sua madre naturale. Tale richiesta è avvenuta dopo degli avvicinamenti che Marco ha avuto nei confronti di due utenti della comunità, al seguito dei quali ha preso consapevolezza che ciò che ora cerca è l’affetto, che ora si sente pronto a provare a ricontattare sua madre, che l’ha perdonata e che non si perdonerebbe lui se non facesse almeno un tentativo. Si è arrivati ad un punto importante della terapia, in cui Marco verrà accompagnato nella ricerca di contatti con la madre al fine di prepararlo alle prossime difficoltà che in questo incontrerà.