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Il mondo della neurodiversità è in continua evoluzione, e con esso anche il linguaggio che usiamo per descrivere le diverse modalità di funzionamento neurologico. Un cambiamento fondamentale, e spesso discusso a proposito dell’autismo, è il passaggio dalla diagnosi di Sindrome di Asperger all’inquadramento come Disturbo dello Spettro Autistico, Livello 1, secondo la quinta edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5), pubblicata nel 2013. Non si tratta di una semplice modifica terminologica, ma di un profondo cambio di paradigma guidato da una duplice motivazione: una strettamente scientifica e una di natura etico-storica.
Per decenni, la comprensione dell’autismo è stata frammentata. Si tendeva a considerare l’Autismo (nella sua definizione più “classica”), la Sindrome di Asperger e il Disturbo Pervasivo dello Sviluppo Non Altrimenti Specificato (PDD-NOS) come condizioni distinte, ciascuna con i propri criteri diagnostici specifici. Questa separazione, tuttavia, creava spesso confusione clinica e diagnostica. I confini tra queste categorie erano sfumati e a volte arbitrari, rendendo difficile per i clinici determinare con precisione dove finisse una diagnosi e iniziasse l’altra.
L’evoluzione della ricerca scientifica ha gradualmente chiarito che l’autismo si manifesta non come un insieme di categorie discrete, ma piuttosto come un continuum di caratteristiche. Le differenze tra ciò che era noto come Sindrome di Asperger e altre presentazioni di autismo senza disabilità intellettiva o del linguaggio si sono rivelate essere più quantitative che qualitative. In altre parole, le persone “Asperger” non avevano sintomi diversi in natura, ma piuttosto una minore intensità o una diversa combinazione degli stessi sintomi osservati in altre forme di autismo, specialmente per quanto riguarda il linguaggio e le capacità cognitive. Questa consapevolezza ha reso i precedenti confini diagnostici non solo arbitrari, ma anche poco riproducibili da un clinico all’altro.
L’adozione del concetto di “spettro” nel DSM-5 è stata la risposta a questa esigenza di coerenza. Il Disturbo dello Spettro Autistico (DSA) unifica queste diverse presentazioni sotto un’unica “ombrello” diagnostico. L’introduzione dei livelli di supporto richiesto (Livello 1, 2, 3) ha permesso di superare la frammentazione, offrendo una descrizione più funzionale e personalizzata della condizione.
Questo approccio si allinea inoltre perfettamente con la crescente comprensione della neurodiversità, che riconosce le variazioni nel funzionamento neurologico come parte della normale diversità umana, piuttosto che come patologie da eliminare. Il focus si sposta dal “cosa manca” al “come funziona diversamente” e a “quali supporti sono necessari”.
Parallelamente a questa evoluzione scientifica, significative scoperte storiche hanno giocato un ruolo determinante e, per molti, inaspettato, nel cambio di nomenclatura. Ricerche approfondite, in particolare quelle condotte dalla storica Edith Sheffer e dallo storico medico Herwig Czech, hanno portato alla luce il coinvolgimento di Hans Asperger – il pediatra austriaco da cui prendeva il nome la sindrome – con il regime nazista.
Per molto tempo, Asperger è stato dipinto come un eroe silenzioso che, pur lavorando sotto il regime nazista, si sarebbe sforzato di proteggere i bambini autistici dalla persecuzione. Tuttavia, le nuove prove documentali hanno scalfito questa narrazione. Approfondite ricerche storiche hanno documentato che, sebbene non fosse un membro ufficiale del Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori (NSDAP), Asperger collaborò attivamente con il programma di eugenetica e con l’Aktion T4, il terribile programma di eutanasia infantile messo in atto dai nazisti.
Le ricerche hanno rivelato che Asperger non solo si conformò al regime, ma partecipò attivamente a decisioni che portarono alla morte di bambini con disabilità. Questo includeva il trasferimento di bambini con gravi disabilità, alcuni dei quali da lui stesso diagnosticati con autismo, a cliniche dove venivano sistematicamente uccisi. La sua partecipazione a tali pratiche, nonostante alcuni tentativi di protezione per altri bambini ritenuti “educabili” e “utili” al Reich, ha sollevato gravi questioni etiche e morali che non potevano più essere ignorate.
Di fronte a queste scoperte sconvolgenti, la comunità scientifica e le associazioni di persone autistiche e loro familiari hanno iniziato a interrogarsi sull’opportunità di continuare a utilizzare una nomenclatura che onorava una figura con un passato così problematico e controverso. La decisione di rimuovere il nome “Sindrome di Asperger” dal DSM-5 è stata quindi anche una scelta consapevole per evitare di continuare a onorare una figura coinvolta in atrocità così orribili. Si è trattato di un atto di distanziamento etico, volto a purificare il linguaggio diagnostico da associazioni morali inaccettabili.
Il passaggio dalla Sindrome di Asperger al Disturbo dello Spettro Autistico, Livello 1, è stato un cambiamento complesso ma necessario. Dal punto di vista scientifico, ha permesso di abbracciare una comprensione più accurata e coerente dell’autismo come spettro. Dal punto di vista etico, ha rappresentato un importante atto di responsabilità storica.
Questo cambio di nomenclatura non ha cancellato le esperienze o le identità di coloro che erano stati precedentemente diagnosticati con Sindrome di Asperger. Anzi, ha l’obiettivo di promuovere una maggiore inclusione, una diagnosi più accurata e un supporto più personalizzato per tutte le persone autistiche. Riconosce la vasta diversità all’interno dello spettro e la necessità di un linguaggio che sia rispettoso e basato sulle più recenti evidenze scientifiche e morali apre la strada di un percorso di cambiamento verso la neuro-inclusività. . È un passo avanti verso un futuro in cui la neurodiversità sia pienamente compresa, accettata e valorizzata.
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