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Iniziamo a parlare di disprassia negli adulti, formalmente conosciuta come Disturbo della Coordinazione dello Sviluppo (DCD – Developmental Coordination Disorder). Questo termine ombrello racchiude una condizione che rientra a pieno titolo nella classificazione ufficiale dei disturbi del neurosviluppo, come definito dal Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5 e DSM-5-TR).
Il DSM-5, pubblicato nel 2013, ha segnato un passo fondamentale nel riconoscimento della disprassia, identificando formalmente il DCD come un disturbo del neurosviluppo. I suoi criteri diagnostici si concentrano su difficoltà significative nell’acquisizione e nell’esecuzione delle abilità motorie coordinate. È cruciale che queste difficoltà non siano semplicemente lievi, ma interferiscano in modo clinicamente rilevante con le attività della vita quotidiana dell’individuo o con il suo rendimento scolastico e/o lavorativo. Non si tratta di una questione di volontà o di impegno, ma di una differenza intrinseca nel modo in cui il cervello processa e organizza il movimento.
Con l’arrivo del DSM-5-TR nel 2022, l’impostazione diagnostica è rimasta coerente. Non sono state introdotte modifiche ai criteri diagnostici specifici per il Disturbo dello Sviluppo della Coordinazione. Le revisioni in questa versione del manuale hanno riguardato principalmente gli aggiornamenti del testo descrittivo, le statistiche epidemiologiche o i chiarimenti di alcune formulazioni, senza alterare la sostanza dei criteri essenziali per la diagnosi. Questo significa che la comprensione fondamentale del DCD, come delineata nel 2013, è stata mantenuta e consolidata.
La disprassia è, quindi, riconosciuta come una neurodivergenza specifica, caratterizzata da difficoltà significative nella pianificazione, esecuzione e automatizzazione dei movimenti. Tali difficoltà non sono attribuibili ad altre condizioni mediche o neurologiche e interferiscono in modo sostanziale con le attività della vita quotidiana, il rendimento scolastico/lavorativo e la partecipazione sociale.
È fondamentale sfatare il mito comune che la disprassia sia sinonimo di semplice “goffaggine” o “mancanza di attenzione” intenzionale. Questa è una credenza errata e dannosa. Al contrario, la disprassia è una condizione neurologica che influenza il modo in cui il cervello processa le informazioni sensoriali e motorie e, di conseguenza, come invia comandi al corpo per eseguire azioni coordinate. Non è quindi una mancanza di impegno, di volontà o di intelligenza da parte dell’individuo. Le persone con disprassia devono spesso compiere uno sforzo cognitivo considerevole per eseguire compiti che per altri sono automatici e intuitivi. Immaginate di dover pensare coscientemente a ogni singolo passo per fare una passeggiata o a ogni movimento per afferrare un bicchiere; questo è il tipo di sforzo che un disprassico può sperimentare in attività quotidiane.
Le manifestazioni della disprassia sono ampie e possono influenzare diverse aree della vita, estendendosi ben oltre il semplice movimento fisico. Non si limitano a un singolo aspetto, ma toccano vari livelli del funzionamento motorio e cognitivo:
La disprassia colpisce circa il 5-6% della popolazione, con una maggiore incidenza nei maschi. È cruciale comprendere che, a differenza di quanto si possa credere, è una condizione che persiste spesso in età adulta. Molti adulti disprassici hanno trascorso l’infanzia e l’adolescenza senza una diagnosi o una comprensione delle proprie difficoltà, attribuendole a difetti personali.
Le sue conseguenze possono essere significative, impattando profondamente l’autonomia personale (come vestirsi, cucinare in autonomia), il rendimento scolastico e lavorativo (ad esempio, difficoltà con la scrittura, l’organizzazione dei compiti, la gestione delle scadenze), la partecipazione sociale (portando a evitare sport o attività di gruppo a causa dell’imbarazzo o della fatica) e, naturalmente, l’autostima e il benessere psicologico della persona. La costante sensazione di non essere all’altezza o di doversi sforzare il doppio per compiti semplici può generare frustrazione, ansia e persino depressione.
Riconoscere la disprassia è il primo e più fondamentale passo per fornire il supporto adeguato. Una diagnosi accurata e una maggiore consapevolezza, sia per l’individuo che per l’ambiente circostante (famiglia, scuola, lavoro), permettono di sviluppare strategie compensative efficaci, di richiedere accomodamenti ragionevoli e di promuovere un ambiente più inclusivo, consentendo alle persone disprassiche di esprimere appieno il loro potenziale.
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